lunedì 2 giugno 2014

la Sirena delle miniere d'oro

La Sirena delle miniere d’oro

C’era una volta un regno molto ricco, per via di una montagna piena d’oro.
Per estrarre l’oro dalla montagna, gli uomini avevano scavato miglia e miglia di tunnel che si perdevano all’interno della roccia.
Le miniere erano così profonde che non di rado si trovavano laghi sotterranei o grandi grotte in cui non arrivava nessuno, se non i minatori.
Il fortunato re di quel regno aveva tre figli, tutti belli e intelligenti, ma il più giovane era il più gentile e di buon carattere dei tre.
Accade a un certo punto che dalle miniere si iniziò a estrarre sempre meno oro e sempre meno.
Il re interrogava il dirigente della miniera, ma lui sosteneva che nulla era mutato: gli uomini erano sempre nello stesso numero, scendevano nelle miniere per lo stesso numero di ore e le vene d’oro erano ben lungi dall’esaurirsi. Non sapeva proprio spiegare come mai l’estrazione dell’oro fosse diminuita.
Il re voleva vederci chiaro, quindi incaricò il suo figlio minore di travestirsi da minatore e di andare a verificare di persona che cosa succedeva.
Il lavoro nelle miniere non era certo dei più ambiti, ma il giovane principe accettò di buon grado, per rendersi utile al padre.
Il giorno dopo scese nel ventre della montagna con il suo piccone. Il caposquadra lanciava ordini e bisognava essere veloci a eseguirli. A ogni uomo fu assegnato un tratto di roccia e tutti si misero al lavoro. A un tratto, però, una luce dorata iniziò a invadere quegli anfratti bui, mentre una voce soave risuonava da una capo all’altro delle miniere.
Gli uomini, come ipnotizzati, abbandonarono i loro picconi e si diressero verso l’origine di quel suono melodioso, fino alle rive di un lago sotterraneo. Appoggiata alla riva, una fanciulla bellissima cantava.
Il canto della sirena era magico, e ogni uomo pensava in quel momento che ella cantasse solo per lui. Ciascuno in cuor suo si sentiva finalmente compreso e amato. Al termine di quel canto, tutti gettarono nel lago l’oro raccolto fino a quel momento e tornarono ai loro posti, riprendendo il lavoro senza ricordare nulla.
Quando il principe tornò al castello, quella sera, il re lo interrogò a lungo. Ma il poverino poté dire solo quello che ricordava: che tutto si era svolto normalmente.
Solo una volta nel suo letto gli prese una sorta di nostalgia struggente, come se nel cuore della montagna fosse successo qualcosa di magnifico.
L’indomani il principe tornò al lavoro e tutto si svolse come il giorno precedente.
Solo, quel giorno qualche nota della melodia della fata rimase impigliata nella memoria del principe, che la fischiettò mentre tornava a palazzo.
Lungo la strada percorsa dal principe viveva una fanciulla, buona di cuore e molto curiosa, che già il giorno prima si era fatta mille domande vedendo quel minatore che veniva direttamente al palazzo del re e poi vi tornava la sera. Sentendo poi il motivo che il principe fischiettava, le venne un sospetto.
Il giorno dopo, quando gli uomini furono scesi nelle miniere, prese una bella brocca piena d’acqua fresca e si presentò all’ingresso, dicendo che come fioretto aveva preso l’impegno di portare da bere a quelle persone che faticavano tanto. La lasciarono passare e lei si diede a offrire l’acqua ai minatori.
Stava giusto offrendo da bere al giovane principe, stupendosi di quel garbo insolito per un minatore, quando ecco la luce dorata e il canto. La ragazza, che come tutte le donne era immune dal canto delle sirene, vide gli uomini abbandonare i picconi, come trasognati, recarsi sulle rive del lago e poi gettare in quelle acque l’oro raccolto.
La ragazza stette ben nascosta per tutto il tempo, poi se ne andò come se nulla fosse.
Il re, intanto, aveva perso la pazienza con il figlio e, pensando che lo volesse imbrogliare, decise di lasciarlo per sempre a lavorare come minatore. Il mattino dopo disse al principe che, se non scopriva il mistero dell’oro scomparso, tanto valeva che si risparmiasse il disturbo di tornare al palazzo. Poiché a sera il principe non era più vicino al mistero di quanto lo fosse al mattino, si sedette su un masso lungo la via, prendendosi la testa tra le mani. Che cosa poteva fare?
In quella lo vide la ragazza, gli si accostò gentile e gli chiese il motivo dei suoi crucci. Il principe le raccontò ogni cosa e la ragazza gli diede riparo nella sua casetta per la notte, gli servì una buona zuppa e gli disse di stare allegro, perché lei aveva la soluzione.
Il mattino dopo prese della cera dall’alveare e la mise nelle orecchie del principe, dopo avergli spiegato che avrebbe visto quello che gli serviva e dopo avergli consegnato un pugnale che era appartenuto a suo padre, minatore anche lui ma morto tanti anni prima.
Il principe, con le orecchie piene di cera, non poté udire il canto della sirena, ma vide la luce dorata, la sirena e gli uomini che gettavano l’oro nel lago.
Avrebbe voluto uccidere la sirena, ma prima voleva sapere che cosa la spingeva a comportarsi così. Se si fosse tolto la cera dalle orecchie, però, la sirena lo avrebbe incantato e non gli avrebbe dato le risposte che gli servivano, così a sera il principe tornò a casa della ragazza. Si accordarono sul da farsi, e il giorno seguente il principe si recò in miniera con le orecchie piene di cera e la ragazza al suo fianco travestita da minatore. La scena si ripeté come sempre, ma questa volta il principe afferrò la sirena e la tenne ferma puntandole il pugnale, mentre la ragazza la interrogava. “Perché rubi l’oro delle miniere?”
“Per un pegno d’amore,” rispose la sirena. “Tanti anni fa amai un uomo che lavorava in queste miniere e gli diedi una figlia umana. Lui promise che ogni anno avrebbe portato nostra figlia a trovarmi e io gli detti in pegno un pugnale di un metallo che non si rovina mai, ma da anni non si è fatto più vedere e io ho bisogno di molto oro per comprarmi dalla regina delle sirene la possibilità di avere le gambe per qualche tempo e andare a cercare mia figlia.”
La ragazza allora le chiese se avrebbe potuto riconoscere il pugnale e le chiese di guardare quello stretto nel pugno del principe. La sirena lo riconobbe e la ragazza le raccontò che l’uomo che lei aveva amato era morto da molti anni, ma che lei era quella figlia perduta.
Il principe non capiva niente, perché aveva le orecchie piene di cera, ma seguì stupito gli abbracci e i pianti delle due. Infine la ragazza gli fece segno di togliersi la cera dalle orecchie e spiegarono ogni cosa anche al principe. La sirena, felice di aver ritrovato la figlia e intuendo l’amore che stava nascendo tra i due, volle dare loro come dono di nozze tutto l’oro sottratto ai minatori fino a quel momento, che era moltissimo.
Inoltre, quando tornarono alla misera casetta della ragazza, la trovarono trasformata in un bellissimo palazzo, con servitori fatati che li informarono che un palazzo uguale li attendeva nel regno delle sirene, a loro disposizione ogni volta che avessero voluto andare a far visita alla madre della ragazza.
Il principe cercò di spiegare al padre quello che era successo, ma questi rifiutò di vederlo.
Ma lui e sua moglie vissero ugualmente per sempre felici e contenti, protetti dalle sirene.
    
E anche oggi una nuova fiaba...

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