mercoledì 20 agosto 2014

La Terra dei Bardi



Le fiabe sono tornate!


La terra dei Bardi


Era una notte buia e tempestosa, quando il bardo entrò nella taverna del Calice e la Spada.
L’oste, vedendo il mantello, non poté trattenere un gemito. Era tradizione offrire ospitalità ai bardi erranti, solitamente sprovvisti di che pagare,  e grandi sventure attendevano chi non avesse rispettato le usanze.
Si apprestò quindi ad accogliere l’ospite.
“Benvenuto nella nostra umile taverna, eccellentissimo Bardo. Che cosa possiamo fare per voi?”
Il ragazzo sembrava molto giovane, ma aveva nello sguardo una saggezza antica che incuteva rispetto. “Un piatto di minestra e un posto accanto al fuoco per asciugarmi saranno più che sufficienti, mio buon oste.”
L’oste, si affrettò in cucina dopo aver fatto accomodare il bardo a un tavolo accanto al fuoco.
Il brusio della sala, che si era affievolito all’ingresso del nuovo arrivato, era ripreso più forte di prima. Tutti aspettavano di sentire le novità portate dal bardo errante.
“Venite da molto lontano?” chiese l’oste ponendogli davanti un piatto di minestra fumante.
“Ho da poco terminato la mia formazione nella Terra dei Bardi,” rispose il giovane affondando il cucchiaio nella minestra.
Un brusio deluso si sparse tra i presenti. Era solo un novellino, dopotutto.
“E dove si trova questa terra?” insisté l’oste, “Non ne ho mai sentito parlare...”
“Molto, molto lontano da qui,” rispose il ragazzo indicando vagamente con il cucchiaio verso ovest. “Oltre dieci catene montuose, intervallate da altrettante terre abitate.”
“Sembra molto distante,” intervenne a quel punto un avventore seduto lì vicino, mentre nella taverna scendeva un silenzio carico di attese. Solo un ubriaco continuava imperterrito a cantare a squarciagola in fondo alla sala, ma fu subito zittito con un potente cazzotto che lo fece stramazzare su una panca. 
Oh, di sicuro avevano insegnato bene, a quel giovane.
Ora che aveva l’attenzione di tutti i presenti, si attardò a soffiare sulla sua minestra, mentre gli altri osservavano impazienti ogni sua mossa.
Quando il pomo d’Adamo indicò che la minestra era stata ingollata a dovere, un uomo con una folta barba rossa lo incalzò: “Raccontate, dunque!”
“Fu il Druido del villaggio, a decretare il mio destino quando ero solo un fanciullo, vedendo che ero in grado di ripetere parola per parola ogni racconto udito. Il mio nome è Glyndwr. Fui mandato quindi a studiare nella Terra dei Bardi, molto distante da qui, dove per anni ho appreso tutti i racconti e tutte le tradizioni del nostro popolo. In quella terra si formano tutti i bardi che poi viaggiano nel mondo. Non c’è storia che non ci venga insegnata e veniamo istruiti anche nella musica e nel canto. Ma sono le storie antiche, quelle su cui i maestri insistono di più. Li si prendono cura di giovani provenienti da ogni parte e l’aria stessa è intessuta di storie e racconti. Io ho completato in fretta i miei studi, in dieci anni appena, e adesso viaggio per il mondo, come è tradizione per noi.”
“Ma le terre che avete attraversato?” chiese l’oste sedendosi di fronte al bardo. “Che cosa avete visto?”
Seppur così giovane e inesperto, ho già visto molte meraviglie. Ho attraversato monti ricoperti di ghiaccio, di cui uno completamente ammantato di ghiacciai rosa, si dice per una strana pianta che cresce solo lì. Ho conosciuto dame di una bellezza abbagliante e cavalieri in grado di affrontare dieci nemici con una mano sola, ma nessuno coraggioso come il Lord della Terra dei Bardi, che combatté contro ben quindici draghi, nei suoi tempi migliori. E nessuna dama che ho visto fin qui, per quanto bella, ha potuto eguagliare la grazia e la dolcezza di sua figlia  Gwenhwyfar. Oh, se solo poteste vederla! I suoi capelli sono d’oro vivo e i suoi occhi risplendono del verde delle praterie in primavera. Ogni suoi gesto è infuso di una grazia fatata e la sua voce cristallina sembra lo scorrere di un ruscello di montagna…”
Le parole del giovane bardo si spezzarono, a quel punto, mentre i suoi occhi azzurri si perdevano lontano.
“E adesso starete cercando un Lord che vi prenda con lui…” azzardò l’oste per spezzare quel silenzio.
Il giovane si riscosse e si guardò intorno scuotendo il capo. “No, signore. Non io… Mi hanno ordinato di camminare dritto davanti a me, ed è quello che farò fino a quando non riuscirò a tornare nella Terra dei Bardi, e dalla bella  Gwenhwyfar che mi ha rapito il cuore!”
“TI ha proprio stregato!” commentò l’oste con una risata e una poderosa pacca sulla spalla, versandogli un bel bicchiere di vino speziato, mentre gli altri avventori allungavano i bicchieri per averne anche loro.
Fu una lunga notte, quella. Colma di racconti e di vino. Ma all’alba, dopo essersi avvolto nel mantello, il giovane bardo si rimise in cammino, per percorre la lunga strada che ancora lo separava dalla Terra dei Bardi e dalla bella Gwenhwyfar.

lunedì 11 agosto 2014

Lettera dal mondo incantato

Lettera dal Mondo Fatato

Siamo noi, siamo noi che lavoriamo instancabili per far sbocciare i fiori, per far spuntare le foglie, per far crescere gli alberi. Il nostro lavoro è per donare ombra e frutti, per far scorrere le acque fresche e illuminare di mille bagliori le piccole polle tranquille.
Siamo noi che leniamo con una carezza il dolore degli animali feriti o sofferenti, che ricamiamo i prati di brina e rugiada nelle notti fresche, che chiamiamo la brezza ad asciugarvi la fronte nella calura estiva.
Siamo noi che mandiamo una farfalla a volarvi vicino quando non sapete più vedere la bellezza che vi circonda e che arriviamo silenziose nella notte a dissipare con un frullo d’ali i vostri sogni peggiori.
Siamo noi che accendiamo le lucciole e la speranza nei vostri cuori, che spargiamo polvere fatata sui vostri desideri, affinché possano volare sempre più in alto.
Mai, mai il Piccolo Popolo ha chiesto una ricompensa maggiore di una risata cristallina, di uno sguardo pieno di stupore e meraviglia, di un piccolo spazio in cui danzare e di un po’ di rispetto.
Ma è giunto il tempo per chiedere il vostro aiuto, perché poche sono le fate e molti gli uomini, in questi tempi oscuri.
Uomini che devastano, che infieriscono contro i più deboli, che si comportano con crudeltà verso chi non può difendersi. 
Abbiamo bisogno di esseri di buona volontà, per distribuire gioia e pace, ovunque ve ne sia bisogno.
Abbiamo bisogno di aiuto per tenere in vita i boschi, le spiagge, gli animali.
Non noi, ma i nostri doni sono in pericolo.
Per secoli e secoli, vi abbiamo insegnato pazientemente a far crescere piante fiori, a prendervi cura dei più deboli e dei piccoli e grandi animali che popolano il mondo.
Vi abbiamo insegnato a coltivare la bellezza e l’armonia che spalancano il cuore, l’importanza di un piccolo gesto d’amore per quanto vi circonda.
Una ciotola d’acqua per un animale assetato, una manciata di semi per un volatile stremato, un fiore coltivato con amore, l’amicizia profonda che può legare a un cane o a un gatto sono preziosi, ora.
Le fate hanno bisogno d’aiuto, ma basta un piccolo gesto di ognuno di voi per fare molto.
Chi risponderà all’appello?
Chi sarà al nostro fianco perché il vostro mondo continui a essere così meraviglioso?
Oggi è il giorno della scelta. Proprio oggi si decidono le sorti del futuro.
Le fate saranno accanto a chi vorrà aiutare. Le fate lo vedranno. Le fate ringrazieranno…


domenica 3 agosto 2014

La stella cadente

La stella cadente

Era una fredda notte di dicembre, una di quelle notti in cui anche il cielo sembra fatto di ghiaccio trasparente.
Le stelle brillavano gelide, come dietro uno spesso vetro.
E in quel cielo, appunto, una stellina attaccata male  si reggeva come meglio poteva e guardava giù, alla città di Assisi, con le sue stradine senza tempo.
Laggiù, minuscoli in quella distesa di freddo, un uomo e una donna guardavano stupiti a naso in su la volta celeste, stranamente piena di stelle.
Erano sposi da poco e in cerca di presepi, che però ancora non erano pronti, perché mancava ancora troppo tempo a Natale.
Guardando le due figurine, la stella si sporse un po’ troppo e di colpo cadde in quel cielo da presepe, lasciandosi dietro una scia d’oro.
La donna che la osservava fu veloce a formulare un desiderio e la stella lo udì: “Un bel bambino…”
Ma ovviamente in quel momento la stella aveva altro a cui pensare. Cadde a testa in giù, tra le dolci onde delle colline e per il gran colpo perse la memoria.
La stellina si risvegliò che ormai era giorno, con un gran mal di capo e la sgradevole sensazione di dover fare qualcosa di importante.
Già… ma che cosa?
“Boh, mi verrà in mente…” pensò la stellina rialzandosi tutta ammaccata e guardandosi intorno. C’era molto da scoprire, per qualcuno abituato al silenzio del cielo. Sulla terra, la vita era chiassosa, piena di gente, di colori e di movimento.
La stellina vagò a lungo, attratta da sensazioni sconosciute, nuovi luoghi e persone, fino a quando, nel suo vagabondare, arrivò sulla riva del mare.
Alla stellina piacque moltissimo, così azzurro e immenso. “Sembra il mio cielo,” pensò istintivamente, colta da un’onda di malinconia.
E così si ricordò di quando era appesa lassù, tra le compagne che le raccomandavano “Reggiti. Reggiti forte. Non è ancora il tempo per le stelle cadenti.”
Il tempo delle stelle cadenti! Ora ricordava. C’era una notte dell’anno in cui le stelle si lanciavano a frotte giù dal cielo, ridendo come matte.
E le persone laggiù le guardavano e affidavano a quelle stelle i loro desideri.
Ma quando era quella notte?
“Pensa, stellina, pensa!” si incoraggiò da sola. Ma la sua testolina ammaccata non voleva proprio ricordare. Così passò molto tempo, fino a quando, in una sera d’estate si trovò a passeggiare di notte sulla spiaggia e si accorse che era piena di gente a naso in su.
“Ne ho vista una!” esultava qualcuno. “Dai, dimmi che cosa hai desiderato!” esclamava un altro. “Non posso, perché se te lo dico poi il desiderio non si avvera.”
 La stellina guardò in su. Eccole lì, le sue compagne, che si lanciavano giù una dopo l’altra, lasciandosi dietro lunghe scie d’oro.
“Come vorrei ricordare,” pensò la stellina proprio mentre una bella stella attraversava il cielo.
La stella cadente la guardò e immediatamente la stellina ammaccata ricordò tutto. Le due figurine nel gelo di dicembre, la caduta, la donna che chiedeva “Un bel bambino…”
Santo cielo! Doveva sbrigarsi! C’era un desiderio da esaudire. Si unì alla folla di stelle cadenti affaccendate per esaudire i desideri, ma non aveva proprio idea di dove andare a trovare quella coppia. Per fortuna, le stelle cadenti hanno alcuni poteri magici e alla fine la stellina fece bene il suo dovere.
Per ricompensa, le fu concesso di tornare in cielo. Attaccata per bene, questa volta.
Da allora ogni anno, così vicino alla notte delle stelle cadenti, lei guarda giù per ammirare gongolante quello che è stato davvero un bel bambino, e che poi è diventato un giovanetto e un giovane uomo, e che anche in onore della “sua” stella cadente porta il nome di Lorenzo.
Ogni anno, lei si unisce ai suoi cari per fargli gli auguri di buon compleanno e ogni anno i suoi cari alzano gli occhi al cielo per ringraziare ancora una volta la stellina attaccata male del meraviglioso desiderio esaudito.


Auguri Lorenzo!


venerdì 1 agosto 2014

La porta del mare




La porta del mare

La città era entrata in quella specie di sonnolenza tipica di agosto e Stefania ne approfittava per fare due passi durante la sua pausa pranzo.
I negozi, ormai, erano quasi tutti chiusi e il traffico era davvero poco. Così, camminava senza meta tra viottoli e stradine, senza nemmeno rendersi conto di dove la stavano portando i suoi passi.
Si riscosse solo quando arrivò in un cortile trasformato in giardino, chiuso in fondo da una porta azzurra.
Si avvicinò alla porta, che l’attirava come una calamita senza un perché. Era una vecchia porta consunta, con il legno un po’ gonfiato dalle piogge e dall’umidità.
Stefania provò la maniglia, che scese docile cigolando un po’, ma la porta non si apriva. Non servì nemmeno una spallata decisa. Solo allora Stefania si accorse di un rampicante con un delizioso fiorellino azzurro a campanella che cresceva sullo stipite.
Possibile…?
Perché no, si disse, prima di scuotere il fiorellino, che liberò una polvere dorata luccicante. Immediatamente la porta azzurra si aprì.
Stefania capì tutto prima ancora di vedere, dal suono sommesso e dall’odore salmastro che le accarezzava il viso.
Oltre la porta, sconvolgendo tutte le nozioni di geografia e di buonsenso, c’era il mare!
Un mare cristallino che si cullava pigro sul bagnasciuga di una spiaggia da paradiso.
Stefania si tolse le scarpe e avanzò sulla sabbia bianca.
Intorno, non si vedeva nessuno. Solo alcuni alberi avanzavano a delimitare quell’angolo di paradiso deserto, con il mare che si perdeva all’orizzonte.
Stefania era sbalordita. Era più che sicura che, se la sua città si fosse affacciata sul mare, lei lo avrebbe saputo.
Una brezza gentile la riportò alla magia di quel luogo e Stefania si sdraiò sulla sabbia. Peccato non avere un costume e un telo!
Ma era comunque piacevole, stare lì a godersi il sole sul viso, la brezza marina profumata di alghe e la vista aperta fino all’orizzonte.
Con la mano sfiorò qualcosa di strano. Una bellissima conchiglia  rosa, quasi del tutto seppellita vicino a alle onde delicate in cui Stefania teneva immersi i piedi.
La liberò con pazienza e ci soffiò su per liberarla dagli ultimi granelli di sabbia. E la conchiglia suonò. Un suono mai sentito, una sorta di sospiro di vento e campanelli.
Stefania giocò un po’ con quel suono, prima di accorgersi che adagiati accanto a lei c’erano un telo e un costume da bagno. Le sembrò naturale cambiarsi al riparo del telo, e poi fare una nuotata paradisiaca in quel mare che sembrava tutto per lei.
Non si vedeva nemmeno una barchetta, nessun bagnante.
Stefania non aveva paura. Era una buona nuotatrice e si immerse tranquilla nell’acqua fresca, spostandosi con bracciate pigre e regolari. Quando fu stanca, si stese sul telo per asciugarsi.
La riscosse, dopo chissà quanto, una risata che sembrava provenire dal mare. 
Figure in lontananza giocavano tra le onde, ma controluce era impossibile distinguerle bene. Ma era una lunga coda, quella che aveva visto guizzare nell’acqua?
Impossibile dirlo. Le figure si allontanarono, tra risa e spruzzi, e Stefania ricordò all’improvviso che doveva tornare al lavoro. Infilò gli abiti direttamente sul costume, che ormai era asciutto e si precipitò fuori dalla porta azzurra, fuori dal cortile trasformato in giardino. Ma dove si trovava?
Nell’ansia di ritrovare in fretta la strada dimenticò di osservare i dintorni.
Dopo un lungo vagare trovò una via familiare e infine, in ritardo, il luogo di lavoro.
Alla collega che le chiedeva “Ma dove sei stata?” rispose semplicemente sorridendo “Al mare!” e intanto  accarezzava la conchiglia rosa che aveva infilato in borsa.
Cercò a lungo la Porta del mare, in seguito, senza trovarla.
Eppure, ne era certa, un giorno o l’altro i suoi passi l’avrebbero riportata davanti a quella soglia prodigiosa.