domenica 29 novembre 2015

Due fiabe per un'immagine






Bella questa immagine vero?

Reperita sul web, ha ispirato due fiabe diversissime.

Vorrei tanto sapere quale preferite e perché. Buona domenica!





La spada
Controvoglia si era messo sotto le coperte, pronto a dormire. Era molto fiero di sé, quella sera aveva scritto la sua lettera a Babbo Natale e la mamma, quando gli aveva dato il bacio della buonanotte, aveva detto che l’avrebbe spedita subito. 
Non ci volle molto ad addormentarsi nel calduccio del suo letto e iniziare a sognare i regali che avrebbe ricevuto: una bellissima bicicletta con la quale sarebbe sfrecciano per le strade intorno a casa. La vide vicino a un albero, rossa con il sellino bianco e i raggi luccicanti che sembravano quelli del sole. Rimanendo quasi infastidito da quei bagliori si voltò e fu allora che la vide, appoggiata a una roccia, di un color oro, che cambiava in mille altri colori a seconda di come la si guardava. Sì! Sì! Era proprio la spada che aveva chiesto come regalo ed eccola lì pronta per iniziare mille avventure.
Si avvicinò piano, non per paura ma quasi per rispetto, quella era la più bellissima spada che avesse mai visto ed era sua… La prese tra le mani soppesandola come farebbe un cavaliere prima di un duello. Era sorprendentemente leggera e sembrava vibrare al minimo movimento nell'aria ma, cosa ancor più sorprendente, con essa si sentì subito coraggioso, pronto ad affrontare ogni nemico … anche il più cattivo; ed iniziò a fendere l’aria a destra e a sinistra, ora in alto ora in basso e con abilità a lui sconosciuta si immedesimò fingendo di infilzare quello che sembrava essere un terribile animale, ma nella foga perse l’equilibrio e barcollando scontrò con la spada una roccia che al contatto sprigiono come un’ enorme scintilla ed allo stesso tempo un fragoroso boato… Ora si che ebbe un po' di paura e ripresosi dalla sorpresa si accorse che tutto era cambiato intorno a lui. Dov'era finita la bicicletta? e non c’era più nemmeno la ringhiera che circondava la sua casa… la sua casa?… la sua casa?… ripeteva non vedendola più. Tutto era sparito: la bici, la casa , la macchina del papà posteggiata nel vialetto … anche il vialetto con tutti i vasi di fiori che piacevano tanto alla mamma … tutto …tutto … Era solo con la sua spada in mezzo a una radura quando un altro fragoroso tuono accompagnato da una forte luce lo sorprese, ma questa volta un po' più il là, dietro agli alberi. Altri bagliori ed altri boati… incredulo del suo coraggio si avvicinò per guardare cosa stesse accadendo ed eccolo di fronte a lui: un drago che stava combattendo con un terrificante animale dalle sembianze di dinosauro, come quelli che aveva appena studiato a scuola.
La lotta tra i due era spaventosa; uno usava la coda come si usa un bastone e l’altro che schivava i colpi alzandosi in volo con le sue possenti ali, e a sua volta ricambiava con lanci di fuoco che non colpendo il rivale esplodevano sul terreno come farebbe una bomba.
Con sua sorpresa, il bimbo si accorse che, nonostante il drago fosse decisamente più piccolo dell’avversario, si alzava in volo ma invece di scappare tornava sempre nello stesso punto, dove intravide un gattino… il drago stava difendendo il … ma era Macchia il suo gatto… ma che ci faceva lì? Brandendo la sua spada si mise a fianco del drago e con indicibile ardire lo affiancò, aiutandolo nella battaglia. Ora il campo si riempì di lampi e tuoni, vuoi per le manovre del drago e vuoi per la spada, che quando colpiva sprigionava accecanti bagliori.
Il dinosauro nonostante la mole si spaventò di tutto quel fuoco e sempre più incerto indietreggiava sin tanto che di scatto si voltò e incominciò a scappare … Vittoria!
Fu allora che il drago si voltò verso il nuovo compagno e chinandosi gli si avvicinò a pochi centimetri dal viso, quasi a sfiorarlo. ”Mamma, ora mi mangia” pensò il piccolo e chiudendo gli occhi si rassegnò al peggio… quando senti qualcosa di caldo ed appiccicoso sulla guancia … il drago lo stava … baciando? “Ma i draghi non danno baci” pensò e così incuriosito aprì gli occhi e vide il suo cane Birba che gli leccava il viso per svegliarlo.
La mamma, tolto l’animale, si sedette sul bordo del letto e gli disse: “Sono fiera del mio coraggioso giovanotto, che nonostante il terribile temporale di questa notte hai dormito come un angioletto.”




... ed ecco la seconda....


Lo Specchio del Lago

C’era, non c’era, in un tempo lontano, un giovane senza fortune e senza averi.
Trovatosi solo per il mondo con null'altro degli abiti che indossava, decise di mettersi in viaggio verso un luogo di cui aveva tanto sentito parlare: lo Specchio del Lago.
Si diceva che chiunque si specchiasse nelle acqua gelide di quel lago lontano, vedesse all'istante il proprio destino.
Il viaggio era lunghissimo e il giovane si incamminò di buona lena, quando finì in un territorio funestato da un drago. Case in fiamme, raccolti distrutti e gente in lacrime erano lo spettacolo che accompagnava ogni giorno i suoi passi.
“Ah, se solo avessi la forza e i mezzi per salvare queste persone!” si diceva continuando a camminare. Ma poiché non aveva la forza né i mezzi, lasciava che le sue gambe lo portassero lontano.
Arrivò anche in un regno che sembrava tanto prospero, ma in cui non incontrava altro che persone tristissime. Quando chiese a un passante il motivo di tanto sconforto, questi lo informò che la principessa di quel regno, amata da tutti, era stata rapita da un orrendo drago. “Ah, se solo avessi i mezzi per salvarla!” si rammaricò il giovane continuando per la sua strada.
Ma tanta era la fretta di allontanarsi da tutto quel dolore, che smarrì la strada e si perse tra altissime montagne.
Faceva freddo, lassù, e non si incontrava anima viva.
Stanco e affamato, il giovane vagò per giorni, incapace di andare avanti o di tornare da dove era venuto. E per tutto il tempo si lamentò tra sé e sé di non avere ali possenti come quelle di un drago, capaci di portarlo in un battibaleno oltre le alte cime innevate.
Una sera, mentre cercava di scaldare le membra intirizzite accanto al fuoco, cavò dalla tasca alcune nocciole di bosco che aveva raccolto per via. Un magra cena, invero, ma sempre meglio che dormire a pancia vuota. Ma mentre si domandava come fare per spaccare i gusci duri come la pietra, uno scoiattolo tutto tremante gli si fece vicino.
La bestiola gli aprì una nocciola con i denti aguzzi e gliela lasciò lì, guardandolo speranzoso.
“Ecco qua,” si disse allora il giovane offrendo un’altra nocciola allo scoiattolo, “io mi lamento di non avere la forza di un drago, ma questa creatura minuscola e priva di tutto trova il modo di rendersi utile agli altri anche con quel poco che ha.”
Dopo aver condiviso con lo scoiattolo le nocciole e aver dormito con lui accanto al fuoco, al mattino riprese il cammino e ben presto si trovò sulle sponde di un lago scintillante. Ma quando si chinò per bere nelle sue acque cristalline, ecco apparire nell'acqua il riflesso di un drago immenso!
Spaventato, il ragazzo fece un salto indietro, ma avvicinandosi di nuovo cautamente alla superficie, scoprì che il riflesso che vedeva era il suo.
Era lui quel drago. Aveva trovato lo Specchio del Lago e quello che gli mostrava era proprio quello che lui temeva di non aver la forza di affrontare.  
Ma sapevano tutti che lo Specchio del Lago non mentiva.
Dopo quella visione, tutto le sue convinzioni svanirono. Ritrovò la strada per tornare indietro e con null'altro che il proprio ingegno e il proprio coraggio (poiché null'altro gli serviva) sconfisse il primo drago, liberò la principessa, sconfisse l’altro drago e fu ripagato con glorie e onori.
E mai, mai più dubitò dei propri mezzi.
Ma fino alla fine dei suoi giorni, si dice che continuò ogni inverno a portare nocciole di bosco agli scoiattoli che vivevano in cima alle montagne.



martedì 24 novembre 2015

In un regno



In un regno


In un regno, neanche troppo lontano, viveva Re Gior… ma in realtà neanche lui si ricordava bene il suo nome, per tutti era semplicemente “Sua Maestà”.
Sua Maestà abitava in un castello sulla sommità di una collina che dominava tutta la vallata. All’occhio del viandante appariva sin da lontana quella costruzione imponente, scura, quasi senza finestre che al solo guardarla incuteva paura.
Al sui interno le giornate del popolo erano condizionate da regole ferree come in una caserma , e nulla poteva essere fatto se non allo scopo di prepararsi a un’imminente  invasione di un probabile popolo ostile.
Eh già, Sua Maestà  viveva nel ricordo, o meglio nel  terrore, di quando da bambino la sua vita fu segnata da un assedio durato alcuni anni.
Tutti, ma proprio tutti, trascorrevano le giornate tra spade, balestre e l’olio bollente che era sempre sul fuoco.
Unica eccezione di quel grigiore era la giovane Principessa che, cruccio di Sua Maestà , sembrava non appartenere a quel mondo austero. Un giorno capitò che la Principessa scorse una porticina dimenticata aperta che permetteva l’uscita dal castello e in un attimo il suo spirito libero la condusse fuori da quelle mura che nella sua vita non aveva mai varcato.
All’interno del castello non ci volle molto a scoprire la sua assenza e subito fu il panico, soprattutto per Sua Maestà il Re che all’improvviso si rese conto di aver perso l’unica luce della sua triste vita.
Si organizzarono subito le ricerche con in testa alla legione lo stesso Re.
Usciti dal castello pronti alla più terribile delle avventure, si addentrarono nei piccoli villaggi perlustrando ogni più remoto angolo del regno, interrogando ogni singolo abitante, che alla vista di tanti soldati ed armi si rintanava in casa.
Le ricerche non portarono a nessun risultato e preso dallo sconforto Sua Maestà fece ritorno al castello e ben presto si rinchiuse nelle sue stanze regali isolandosi dalla vita di castello.
Una mattina, come a seguire un proprio istinto, senza neanche adornarsi delle vesti regali e tantomeno di armi, in compagnia del solo cavallo si addentro nella valle alla disperata ricerca di Geltrude … solo allora si rese conto di non averla mai chiamata col suo nome e di non averla mai trattata come una figlia, e adesso chissà in quale atrocità  si trovava e nella testa reale rimbombavano come cannonate le sue urla immaginate e le disperate richieste d’aiuto.
Alla vista del Re però questa volta si presentò un altro paesaggio, o meglio, era lo stesso che giorni prima aveva attraversato con le sue truppe ma ora era tutto improvvisamente diverso:  gli operai lavoravano nei campi, ma si accorse che erano sereni;  le donne nelle loro faccende domestiche intonavano canti a glorificare la vita e soprattutto c’erano tanti bambini in ogni dove e tutti a urlare in spensierati giochi.
Fu allora che si rese conto di come aveva tristemente vissuto e peggio ancora di come aveva costretto al sacrificio la sua famiglia e i suoi sudditi, e inginocchiatosi all’ombra di un radioso albero sprofondò in un disperato pianto.
“Cosa  la turba tanto buon uomo da costringerla a tanta pena” disse una voce quasi angelica, proveniente da qualcuno che con caritatevole amore gli aveva messo una mano sulla spalla quasi a confortare la sua disperazione.
Voltatosi a si tanta dolcezza, quale aveva  vissuto solo da bambino al cospetto della madre, rimase folgorato alla vista della propria figliola che non esitò ad abbracciare e baciare improvvisamente  libero dai fantasmi del passato.

Non voglio annoiarvi su  come si svolsero i festeggiamenti per il ritrovamento della Principessa Geltrude , ma vi posso assicurare che se andaste a far visita al castello non credereste mai che quello un tempo era un luogo triste tanto quanto è ora  radioso e festoso.





Anche questa bellissima fiaba è opera di Claudio.

L'immagine è reperita sul Web.

lunedì 23 novembre 2015

Cantafiabe rotta...





Carissimi, 

mi dispiace molto, ma sono fuori uso per un po'.

Per fortuna, altri bravi cantafiabe mi stanno aiutando a mantenere vive le nostre fiabe. 

A presto!






Immagine reperita sul Web



Le urla

Fiaba di Claudio.




Le urla
Le urla erano ancora troppo vicine per fermarsi, “ Bigfool … Bigfool … Bigfool “ ripetevano ossessivi. Bigfool … il grande scemo. A lui non è che quel nome importasse molto, anche perché nel villaggio tutti i ragazzi da sempre l’avevano chiamato così. A volte scandivano il suo nome nel modo in cui si acclama un eroe, come quando con una spallata aveva fatto cadere tutte le mele dall’albero o come quando con un tronco aveva costruito un ponte per attraversare il ruscello. Ma questa non era una di quelle volte: gridavano il suo nome per deriderlo e lo facevano spesso. Era in quei momenti che sentiva la necessità di nascondersi nel bosco, dove nessuno di quei mocciosi avrebbe mai avuto il coraggio di addentrarsi. Ma lui sì , lui lo sentiva come una calda coperta in una fredda giornata d’inverno.
Nel bosco trascorreva molto tempo a raccogliere frutti e funghi o più semplicemente si trastullava a spiare gli animaletti che numerosi l’abitavano, ma in questi giorni che anticipavano l’inverno non vi era nulla da raccogliere e nessun rumore tradiva la presenza si esseri viventi. Fu così che si ritrovò a girovagare senza una precisa meta, certo solo che comunque per un po’ sarebbe stato nascosto lì - come del resto faceva spesso - quando, da oltre una collinetta, tra i cespugli, sentì come un rantolo. Non era un grugnito, lui lo sapeva riconoscere un cinghiale, e nemmeno un cervo o un … “ORSO” … gli si strozzò in gola l’urlo. Non serviva neanche avvicinarsi oltre per vederlo meglio, da quanto era grosso, e con stupore si accorse che certamente anche lui aveva notato la sua presenza, ma nonostante ciò non sembrava reagire e tantomeno aggredirlo, anzi, dava l’impressione di voler dire qualcosa, con un lamento sempre più debole, soffocato … rassegnato.
Riconoscendo negli occhi dell’animale la paura, si avvicinò con movimenti lenti ma decisi, da vero cacciatore, tanto da sentirne il fiato sul viso, fu allora che si accorse che la bestiola era caduta in una tagliola lasciata lì chissà da chi. Non era stata posizionata certo per l’orso, anche perché quello era forse il primo che si vedeva libero da quelle parti. Il ragazzo si ricordò di un orso che aveva visto qualche tempo prima chiuso in gabbia e già allora aveva provato tanta tristezza.
Sussurrando parole senza senso allo scopo di calmare l’animale, si chinò ai suoi piedi e con movimenti lenti iniziò a liberarlo dalla trappola. L’orso non reagiva, forse stremato o forse, e questo era quello che gli dava il coraggio di proseguire, fiducioso nel piccolo uomo.
Si narra che spesso Bigfool venga visto al margine del bosco insieme a un orso e che con questi trascorra gran parte del suo tempo; si narra anche che, se qualcuno prende in giro il ragazzo, dal bosco si levino spaventosi ruggiti. Si narra, ma quel che è certo è che da quel giorno il ragazzo stesso si è trasformato in orso e, come il suo compagno del bosco, si erge a difesa di chi un orso non ha.

martedì 10 novembre 2015

Quelli che corrono


Mi dispiace per il lungo silenzio, ma spero che vorrete perdonarmi. A volte mi perdo.






Ecco una nuova fiaba.


Quelli che corrono


C’era una volta un regno felice. O, almeno, così credevano i suoi abitanti. Avevano tutto: carrozze che correvano veloci, abiti eleganti per andare alle feste, giorni ben ordinati e leggi che regolavano ogni cosa e ogni comportamento. Non mancava proprio nulla.
Almeno fino a quando non arrivarono “quelli che corrono”.
La Principessa fu la prima a vederne uno. Si stava recando a un ballo, abbigliata con eleganza, sulla sua lussuosa carrozza in compagnia di sua cugina Eufemia.

A un tratto, guardando fuori dal finestrino, vide una copia esatta di se stessa che correva a fianco della carrozza.
Indossava persino i suoi stessi vestiti!
La Principessa si spaventò moltissimo, ma la sua copia esatta le scoccò un sorriso, continuando a correre alla stessa velocità dei cavalli, apparentemente senza sforzo alcuno.
Che magia era mai quella?
La Principessa diede di gomito a Eufemia, seduta accanto a lei. «Guarda. Guarda!» disse tutta agitata.
Eufemia si sporse a guardare, poi fissò la cugina: «Che cosa?» disse scuotendo la testa. «Non vedo nulla di strano. Solo le solite strade.»
«Ma come?» sbottò la Principessa.
 «Non vedi quella persona simile a me che corre accanto alla carrozza?»
Eufemia tornò ad accomodarsi sul sedile, stando attenta a non gualcirsi l’abito nuovo, e scoccò alla sua vicina un’occhiata preoccupata: «Nessuno può correre a piedi alla stessa velocità di una carrozza, cara cugina. Forse sei un po’ affaticata…»
La Principessa non prese affatto bene quel commento e si voltò immusonita a guardare fuori mentre Eufemia, a disagio, si sporgeva per guardare fuori dall’altro lato della carrozza.
La copia della Principessa continuò a correre per un buon tratto, poi fece un cortese cenno di saluto e accelerò ancora, sparendo ben presto alla vista.
Dopo un bel po’ di silenzio, improvvisamente Eufemia si lasciò sfuggire una specie di singulto spaventato, portandosi una mano al petto. Adesso era lei a sostenere di vedere una ragazza simile a lei che correva a fianco della carrozza! La Principessa, invece, non riusciva a scorgere proprio nessuno.
Da quel momento, chi prima chi dopo, tutti gli abitanti dei Regno Felice iniziarono a vedere ogni tanto copie di se stessi che correvano indaffarate di qua e di là. Ognuno poteva vedere solo il proprio doppio e non riusciva a scorgere quelli degli altri, ma il fenomeno era così diffuso che la gente iniziò a parlarne, chiamando queste copie “quelli che corrono” e interrogandosi a vicenda.

Il Re, preoccupato, inviò banditori per tutto il regno, promettendo la mano della Principessa a chi fosse riuscito a spiegare e far cessare quello strano fenomeno, ma non si presentò nessuno.

Un giorno, però,  arrivò nel regno un forestiero. Era un giovane di bell’aspetto, vestito modestamente e con pochi averi  racchiusi in un fagotto che portava in spalla.   
«Buondì, caro oste» disse cortesemente sedendosi al tavolo della locanda. «Certo che avete un bel traffico, da queste parti, con i vostri doppi che corrono in quel modo di qua e di là!»
L’oste, nell’udire quelle parole, per poco non rovesciò la caraffa del vino. «Dunque voi li vedete?» si affrettò a chiedere e alla risposta affermativa inviò in tutta fretta il suo garzone al palazzo, per avvertire il Re.
In men che non si dica arrivarono infatti le guardie, che prelevarono il giovane e lo condussero senza tanti complimenti al cospetto del Re.
Il sovrano in quel momento era particolarmente di cattivo umore, visto che il suo doppio sfrecciava dal mattino per le sale del palazzo, così si rivolse molto bruscamente al ragazzo:  «Dunque voi sostenete di vedere quelli che corrono?»
«Certo che sì, vostra Maestà, poiché io sono uno di loro» rispose quello con un grazioso inchino.
«Stento davvero a credervi. Anche perché voi non correte. E ditemi, vedete niente in questa sala?» chiese ancora il Re.
«Vedo il vostro doppio, Maestà, che corre da tutte le parti e corrono anche di doppi delle vostre guardie, dei domestici, del ciambellano e della vostra graziosa figlia. C’è un bel po’ di confusione, Maestà.»
«Appunto. Quindi non fatemi spazientire e ditemi come far cessare questa baraonda. Questo è un regno ordinato, sapete…»
« Questo è il problema, Maestà. Troppo ordinato. Quelle figure che vedete correre di qua e di là, sono le portatrici di tutto quello che, nelle vostre vite, non lasciate scorrere liberamente. Sono i desideri inespressi, gli impulsi non seguiti, le regole inutili non infrante. Più voi siete ubbidienti e ordinati, più loro devono essere disobbedienti e disordinati.»
«Ma come facciamo a farli smettere?»
«Ascoltando di più quello che vi chiede il cuore. Adesso, per esempio, il vostro doppio vorrebbe tanto uscire in giardino a godersi una bella passeggiata sotto il sole, mentre voi siete chiuso qui dentro a occuparvi di questioni serie. Provate a uscire per una breve passeggiata, e poi vedrete che il vostro doppio accetterà di stare un pochino più calmo quando serve. E quando i vostri desideri e i vostri doveri saranno più equilibrati, vedrete che il vostro doppio se ne andrò in giro per conto suo, a vivere la vita che voi non potete. Io, per esempio, sono il doppio di un serissimo Principe che vive oltre le montagne. Da quando lui ha accettato anche di divertirsi e seguire di più il suo cuore, io ho potuto andarmene in giro per il mondo per conto mio, perché lui non ha più bisogno di me.»

Non fu facile, far accettare quella verità a Regno Felice, ma visto che c’era una regola che lo imponeva, pian piano gli abitanti presero ad ascoltare un po’ di più i loro cuori e un po’ meno le regole, fino a quando i doppi non iniziarono ad andarsene dal paese, più tranquilli e soddisfatti di prima.

Il Re, che era un uomo di parola, voleva dare sua figlia in sposa al doppio del principe, ma quello naturalmente rifiutò e chiese invece la mano della copia della principessa, con cui partì felice per proseguire il suo vagabondare.