giovedì 7 dicembre 2017

Le quattro penne dell'Aditya


La Disfida prosegue, anche se ci stiamo un po' ingarbugliando con le fiabe del giorno. Ricordate il video con il buffo pennuto sulla pagina FB? Questa è la fiaba che ha scritto su di lui Federica Rossi di Inchiostro Rosa, valorosa partecipante alla disfida.



Le quattro penne dell'Aditya



Fioccava in abbondanza quella sera, la città era immersa in un nebbioso e soffice silenzio e la luce dei lampioni a malapena riusciva a penetrare l'aria umida. Però sulle case si intravvedevano luci colorate e i giardini erano festosamente addobbati. Mancava poco alla vigilia di Natale ed in casa di Lorenzo, quella sera, era atteso un ospite molto speciale. Il bimbo, assieme alla sorellina ed ai cuginetti, non faceva altro che passare da una finestra all'altra, sbirciando nella nebbia! Ecco infine apparire una scura figura, dapprima un piccolo punto poi sempre più grande ed infine i bimbi eccitati urlarono in coro: - Mamma, mamma, è arrivato lo zio Goffredo! - Tutti si precipitarono alla porta che la mamma, felice, era andata ad aprire e nell'ingresso apparve un grande omone, coperto di un cappotto lungo e scuro ed un cappello a falda larga impermeabile. La sciarpa colorata gli nascondeva il resto del volto ed ai piedi portava due scarponi pieni di neve che lentamente si scioglieva in una piccola pozza d'acqua! Con un gesto plateale lo zio si tolse il cappello e salutò i presenti con un gran vocione: - Buon Natale famiglia! - I bimbi risero... - Ma zio, non è ancora Natale! - disse Lorenzo guardandolo con espressione divertita. - Per me è sempre Natale quando posso stare con voi! - rispose affettuoso lo zio. - Zio, zio! Cosa ci hai portato di bello? Cosa ci racconterai di nuovo stasera? Quanto rimarrai con noi? - lo incalzava la piccola Matilda tirandogli l'orlo del cappotto. - Bambini, insomma! - intervenne mamma - lasciamo che lo zio si tolga questi abiti bagnati e mettiamoci a tavola - poi rivolgendosi a Goffredo - Siamo tutti pronti, aspettavamo solo te! Fratello e sorella si abbracciarono ed insieme varcarono la soglia della sala da pranzo: nel caminetto la legna ardeva vivacemente, la tavola era apparecchiata e piena di delizie e tutti gli amici ed i parenti lo accolsero festosi. La cena fu piuttosto lunga, molte le pietanze e tante le chiacchiere ed i bimbi, sempre più insistentemente, lanciavano supplichevoli occhiate allo zio per sollecitarlo ad iniziare i suoi racconti. Lui con dolcezza sorrideva e faceva un gesto con la mano facendo intendere che bisognava attendere ancora un poco. Finirono anche il dolce ed allora lo zio si alzò e chiamò i nipotini: - Venite bambini, spostiamo davanti al fuoco, ho da mostrarvi una cosa meravigliosa... - Si sedette sulla comoda poltrona e i bimbi per terra, intorno a lui, tranne Matilda, che essendo la più piccola, si accomodò sulle sue ginocchia. - Lorenzo, per favore, guarda dentro la tasca interna del mio cappotto e portami l'astuccio in cuoio che vi trovi. - Quando lo zio aprì l'astuccio i bimbi mandarono un grido di sorpresa perché dentro erano conservate quattro piume d'uccello di uno splendido blu cangiante e spruzzate d'oro zecchino... - Ma zio, non esiste un uccello così...- disse Lorenzo, che era il più scettico - io non l'ho mai visto! - - Lorenzo...con tutto quello che ti ho raccontato nel tempo ancora hai di questi dubbi? Non ti ho detto tante volte che esistono molte più cose, fenomeni, creature, uomini, di quanti ne possiamo anche solo immaginare? Lo zio non era vecchio, ma aveva viaggiato molto, i suoi biondi capelli erano meno lucenti di una volta, il viso abbronzato segnato da qualche ruga ma i suoi occhi brillavano d'intelligenza e curiosità e l'espressione matura mostrava la sua grande conoscenza del mondo. I bimbi pendevano dalle sue labbra quando narrava le sue avventure, come accadeva ogni volta che tornava da uno dei suoi lunghi viaggi. - Queste piume appartengono ad un uccello molto raro - cominciò lo zio - Il suo nome è Aditya e l'ultimo esemplare vive in un santuario nella lontana India del nord. Proprio in questo paese gli uomini hanno dato loro la caccia per lungo tempo, facendoli morire di stenti e maltrattamenti, ingordi del grande tesoro che tali creature potevano offrire. - Tesoro? - chiesero in coro i nipoti - raccontaci zio dello sfortunato Aditya! E lo zio cominciò: - Durante il mio ultimo viaggio, ho visitato una vasta regione dell'India e ho visto cose straordinarie...uomini che vivevano da più di cento cinquanta anni meditando solitari senza mangiare nulla...templi dedicati ad animali sacri, come le scimmie o i topi... donne ricoperte di veli e amuleti d'oro. Tanta ricchezza e tanta povertà, tanto amore e altrettanta crudeltà. Ma l'essere più triste che abbia incontrato è stato l'Aditya. Questo uccello dalle lunghe zampe e dal piumaggio eccezionale veniva trascinato per via dal suo aguzzino. Le sue ali erano troppo corte per permettergli di volare, il capo era grande, gli occhi dolci, il becco giallo capiente. L'uomo che lo tirava portava abiti pregiati e la gente si accalcava intorno a lui. Sembrava che tutti avessero bisogno di qualcosa, lui interrogava il povero uccello e questo faceva un piccolo inchino o scuoteva le penne della coda. A seconda del comportamento dell'animale, la gente saltava di gioia o alzava gli occhi al cielo, sospirando infelice e il proprietario riscuoteva una lauta somma di denaro. Incuriosito da tale scena mi avvicinai ad un mercante di seta e gli domandai spiegazioni. Il tipo, scuro di pelle e sdentato, parlava male, ma ugualmente fui in grado di capire ogni cosa. L'uccello si chiamava appunto Aditya, non ne esistevano più al mondo e l'uomo dai vestiti sontuosi era molto fortunato a possedere l'ultimo esemplare. D'altra parte si raccontava che quest'ultimo fosse un cucciolo rubato ad alcuni monaci, da sempre dediti alla salvaguardia di ogni specie di animale. Incalzavo il mercante perché arrivasse al nocciolo del discorso ed infine la mia curiosità fu soddisfatta. L'Aditya poteva predire se una tale faccenda andasse a buon fine o meno...se faceva un inchino la risposta era positiva, se scuoteva le piume era invece negativa. Immaginate, bambini, cosa significava possedere un tale animale, in un mondo fatto di speranze, aspettative, vanità. Questo povero uccello, nonostante significasse la ricchezza per il proprietario, era assai maltenuto, le zampe sembravano reggerlo a stento e dove il collare stringeva il lungo collo era spiumato ed arrossato. Strattonandolo, l'omaccio si allontanò ma feci appena in tempo a guardare l'Aditya negli occhi, così rassegnati e languidi. Decisi che lo avrei liberato e riportato ai monaci! - I bambini seguivano la narrazione con occhi sbarrati e bocche spalancate ed anche gli adulti avevano cominciato a prestare attenzione alle parole di Goffredo. Il racconto proseguiva: - Ma cosa potevo inventarmi per salvare l'animale? Dovevo avere un piano e ben congegnato! Quella notte girai a lungo, cercando informazioni. Il giorno dopo visitai le biblioteche della città e finalmente trovai un libro che mi diede ottimi spunti. Vi lessi che l'Aditya, chiamato anche Sibilla pennuta, per le sue doti divinatorie, aveva però un punto debole. Alla perdita di una delle sue penne, anche le sue capacità venivano momentaneamente meno. Questo poteva essermi davvero utile e felice tornai al mio albergo. Il giorno seguente cercai l'Aditya che trovai nella piazza del mercato, circondato di folla. Mi feci largo e con fare spavaldo urlai che l'uccello aveva perso il suo potere e che l'uomo che se lo portava dietro non era altro che un truffatore! Le mie parole crearono grande confusione e l'indiano dagli abiti lussuosi mi si avvicinò aggressivo e comincio a spintonarmi, urlandomi in faccia. Io senza indietreggiare urlai che potevo provarlo e domandai ai presenti di fare le loro domande. Si presentò il primo...un giovanotto che stava per diventare padre. Chiese all'Aditya se avrebbe avuto un maschio. Senza che nessuno se ne accorgesse staccai una delle penne dalla coda dell'uccello. L'Aditya spalancò gli occhi e si irrigidì...non si inchinò né scosse le penne. Restò immobile! La folla mormorava impaziente. Quando mi accorsi che l'animale stava riprendendo il controllo, invitai un'altra persona a porre la domanda e come prima strappai una penna. L'animale alla richiesta si immobilizzò di nuovo e non diede alcuna risposta. Così feci per altre due volte finché la folla rabbiosa non cominciò ad insultare l'uomo che per paura di un'aggressione si diede alla fuga. Nessuno fece caso a me o all'Aditya e in un attimo entrambi sparimmo... Queste quattro penne sottratte all'animale mi hanno permesso di salvargli la vita e riportarlo al santuario, dove ora si sta riprendendo di tutte le sofferenze patite. Certo mai avrei pensato che durante il viaggio quattro balordi mi assalissero per derubarmi e fu allora che scopersi che il pennuto era anche in grado di... Una mano si posò sulla spalla di Goffredo, destandolo dai suoi avventurosi ricordi. I bimbi si erano tutti addormentati, l'ora era tarda e il caminetto stava spegnendosi. Lo zio sorrise e chiese: - Fino a che punto mi hanno seguito? - - Quasi fino alla fine - gli strizzò l'occhio la sorella. Con attenzione lo zio si alzò con la piccola Matilda in braccio e si incamminò verso le camere da letto... Adesso la luna brillava in cielo e l'oro delle quattro penne luccicava sotto la sua luce, nella casa addormentata.

Nessun commento:

Posta un commento